SAVERIO TUTINO (1923 – 2011)

Nel 1984 crea l’Archivio diaristico nazionale a Pieve Santo Stefano e nel 1998, assieme a Duccio Demetrio istituisce la Libera Università dell’Autobiografia. Tra le sue opere di narrativa e di saggistica ricordiamo:

  • “Gollismo e lotta operaia”, Einaudi, 1964
  • “L’ottobre cubano”, Einaudi, 1968
  • “Gli anni di Cuba, Mazzotta, 1973”
  • “Dal Cile”, Mazzotta, 1973
  • “La ragazza scalza”, Einaudi, 1975
  • “Da Kennedy a Moro”, Studio Tesi, 1975
  • “Viaggio in Somalia”, Mazzotta, 1975
  • “Il Che in Bolivia”, L’altro diario”,  Feltrinelli , 1979
  • “Cicloneros”, Giunti, 1994
  • “L’occhio del barracuda”, Feltrinelli, 1995
  • “Guevara al tempo di Guevara”, Editori Riuniti, 1996
  •  “Il mare visto dall’isola”. Gamberetti Editore, 1998
  •  “Il rumore del sole”, Il Vicolo, 2004
  •  “Diario ’64-68″, ExCogita”,
  •  “diari: 1944-1946”, LeChâteau, 2016

 

“Nei primi anni del dopoguerra un solo momento mi consolava: l’autunno. Niente che valesse il confronto con quella stagione in cui la pioggia e la notte precoce accorciano il dolore della luce diurna che rischiara i nostri compromessi, la nostra beata accettazione delle leggi! In città ero come uno sconosciuto, subito scoraggiato dagli altri (“ci hanno rotto le scatole con i loro petardi…”). Le strade erano appena bagnate dalla pioggia, ma le suole delle mie scarpe erano fradice e molli. I guardiani dell’ordine monopolista primitivo bevevano nuvole di latte caldo nel thè bollente. A poco a poco si ritrovavano a loro agio, con i legami sufficienti per rimettere al proprio posto tutto ciò che si era mosso, non si sa mai, negli ultimi tempi.”

In questo scritto inedito del 1978, è riassunto il pensiero di quanti, dopo l’esaltante stagione del 1944 – 45 chi li aveva visti primi attori all’alba di un nuovo mondo possibile, avevano dovuto vivere la disillusione del progressivo assestamento nei rapporti sociali nella restaurazione, nel nuovo ordinamento nella prima Repubblica.

Il loro mondo straordinario e terribile, che si era consumato nelle montagne, era diventato rapidamente un ricordo; sempre più spesso si ritrovavano a rievocarlo soltanto tra di loro come vecchi commilitoni; oppure veniva acclamato nelle occasioni ufficiali, nei comizi delle piazze cittadine in modo sovente retorico e strumentale. In realtà la guerra non era finita, ma continuava sul fronte della battaglia politica e le forze in campo erano quelle di sempre.

Saverio Tutino sembra annaspare, tra le righe del diario del 1945-46, mentre cerca un modo di svolgere il proprio lavoro, senza perdere l’onestà morale acquisita nell’esperienza partigiana.

In generale si sente inadeguato, sempre “non abbastanza bravo”, come gli succedeva anche da partigiano. Per tutta la vita manterrà un forte senso autocritico, la tensione a migliorare.

Questa attitudine lo spinge a rimanere in movimento, cambiando sovente rotta, senza però cambiare pelle. Nel ’50 fa parte della delegazione di giornalisti occidentali invitati a visitare la Cina subito dopo la Rivoluzione del ’49, sarà poi nella Francia della guerra d’Algeria e, dall’esperienza del grande sciopero generale dei minatori del nord nel marzo del ’63, trarrà il suo primo libro, pubblicato per Einaudi: Gollismo e lotta operaia. Il suo atteggiamento critico e pertanto indisciplinato, gli procura difficoltà in ogni organizzazione strutturata, sia dall’interno della redazione dei giornali, sia dentro il partito.

Diventerà, come inviato speciale dell’”Unità” a Cuba, uno dei principali esperti occidentali della Rivoluzione cubana e, più estesamente, dei fermenti rivoluzionari dell’America latina degli anni Settanta. Quelli sono in effetti gli anni del suo maggiore riconoscimento professionale, come giornalista e scrittore. Viaggia molto, scrive per diverse testate nazionali e internazionali (“l’Unità”, “Le Monde”, “El Pais”, e poi “La Repubblica”, etc.), pubblica saggi, e parallelamente collabora con “Linus” in una rubrica fissa, dove comincia a tracciare in grande anticipo, una mappatura più intuitiva che scientifica, sulle trame eversive dei servizi segreti e dello stragismo neofascista di quegli anni. Anche questo contribuisce a farne un personaggio relativamente “scomodo”, al quale sono comunque riconosciuti talento e professionalità. Ma non si ferma, viene invitato a presentare una conferenza in un piccolo paese toscano vicino ad Arezzo, presso il Castello di Sorci (Anghiari). Si innamora della valle Tiberina, fino a decidere con la sua nuova compagna, la scultrice argentina Gloria Argelès, di comprarvi una casa.

Nella terza parte della sua vita si dedica esclusivamente agli altri, progetta una banca dati per raccogliere le memorie di chi “non ha voce in capitolo”, raccoglie centinaia di diari, di memorie, di epistolari. Trova persone entusiaste e disposte ad appoggiare l’iniziativa; così nasce l’Archivio nazionale dei Diari nel paese di Pieve Santo Stefano, a due passi da La Verna di San Francesco, in quella valle patria di Piero della Francesca e di Michelangelo Buonarroti, dove alla fine Saverio si è fermato.

Nel suo libro L’occhio del barracuda ha voluto il sottotitolo autobiografia di un comunista. Lui, che era stato uno degli intellettuali più costruttivamente critici dei regimi “comunisti”, e perciò piuttosto emarginato dalla nomenklatura del Partito, anche dalle cerchie legate da consuetudini comuni della borghesia intellettuale italiana, ha attraversato la sua lunga vita turbolenta, rimanendo sempre coerente a quel pensiero rivoluzionario che brilla dalle pagine acerbe del piccolo diario scritto sulla Serra di Ivrea nell’inverno del 1944-45

(Barbara Tutino da “diari: 1944-1946”, Le Château, 2016)


 

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