RECENSORE: Roberto Scanarotti, .

Titolo: Autobiogrammatica.

Autore: Tommaso Giartosio

Editore: Minimum Fax (Roma)

Anno edizione: 2024

Pagine: 442

ISBN: 978-88-3389-486-7

di Tommaso Giartosio

“La pasta con i peperoni era croccante quasi quanto la parola croccante, era untuosa come untuosa”. L’incipit di Autobiogrammatica entra subito in tema, offrendo una traccia che riporta alla memoria dei sensi e a una riconoscente ossessione per la parola. Non indugia, Tommaso Giartosio, nel far entrare in scena la parola, in modo da mettere in guardia il lettore (“così sappiamo di cosa stiamo parlando”) prima ancora di avvisarlo che si dovrà confrontare con il risultato di “un’impresa folle, senza precedenti e probabilmente senza imitatori”.
Difficilmente non si potrà essere d’accordo con l’autore, dopo aver letto il libro. Un testo che nelle sue oltre quattrocento pagine in effetti impegna in quanto rispecchia, interroga, spiazza, sorprende, seduce (del resto “i racconti hanno il brutto vizio di riguardare anche chi non li ha vissuti”) mentre non smette di sollecitare la coscienza del lettore (tutta: buona e cattiva) con i suoi rimandi ad altri mondi, reali e metaforici, ad altre parole, linguaggi, coscienze.
Autobiogrammatica è un ricco e complesso esercizio di scrittura di sé, cioè di ricerca di sé, che prende origine dai molteplici ruoli e dalle illimitate diramazioni del linguaggio: inteso, questo, come elemento costitutivo, se non primario, dell’identità personale, e come tale elemento portante e privilegiato di una possibile autonarrazione.
Tommaso Giartosio è scrittore, poeta e apprezzato conduttore radiofonico di Fahreneit, su Radio Tre: uno che lavora con e sulle parole, sulla lingua e sui linguaggi. Il suo nuovo memoir appare come un labirinto di prolifiche parole-cellule dal quale non si sente affatto la necessità di uscire. Perdersi nelle sue spire è anzi gioco intrigante e seducente, una non dichiarata caccia a un improbabile tesoro che non pretende di svelare risposte, ma semmai di sacralizzare e onorare le domande poste dalle parole, e che alle parole riconducono, essendo queste figlie “dei discorsi in cui sono incastonate”: “per questo dobbiamo sceglierle con attenzione – avverte l’autore – e se necessario cambiarle”.
La destinazione, insomma, è il viaggio.
Il bambino, l’adolescente e il giovane (sono queste le età su cui si snodano ricordi e considerazioni dell’autore, dall’infanzia all’università) maturano l’esperienza di incontro con la vita, e di progressiva trasformazione, accompagnati e formati dalle parole e dai linguaggi che connotano il lessico familiare e quello dell’ambiente circostante. Di più: cercandoli e sperimentandoli, i linguaggi. A cominciare da quelli genitoriali: il padre, che “sta sul bordo tra non lingua e lingua” e si nutre di calembour come di silenzi, le cui parole “sembrano svanire”. Al contrario della madre, per la quale “la lingua era ghiaccio sottile. Cristalli galleggianti che si toccano e respingono di continuo, come pensieri”. Un’immagine, questa, che sembra evocare la figura del chimico, impegnato al microscopio ad ampliare la visione di quei cristalli, entrandovi dentro, per chieder loro di restituire svelamenti e soprattutto nuove domande, piuttosto che definitive risposte: “Cercavo parole (…) che non si affrettano a consegnare il loro significato: preferiscono un altro giro di danze, un altro giro di bevute”.
C’è anche l’esercizio del nonsense, gioco familiare e scienza dell’assurdo, nell’universo esistenziale e formativo dell’autore, poi coltivato nelle vertiginose variazioni imposte dallo spirito del tempo nelle relazioni affettive che lo legano all’amico Elio, o a Filippo, già quando, ragazzo, aveva capito “che la parola e la scrittura saranno tutto per lui”, che si pensava poeta, amico ricambiato delle parole.
La lingua come origine della coscienza e del mondo emerge dal libro come spazio scenografico e co-protagonista di un “dis/pensare” autobiografico privo di confini. Amicizia ed eros, identità, società, politica, famiglia, scuola, mentori e nemici (“quello che mena” è personaggio reale e simbolico, oltre che probabile coscienza critica del protagonista) costituiscono uno dei due binari su cui scivola l’ammaliante flusso di coscienza degli io di Giartosio, messi a nudo nel percorso in cui il ricordo si fa riflessione e restituzione. Sul binario di fianco viaggiano abbecedari, parole e parolacce, l’inglese, codici, enigmi, nomi di persone e di animali (il cane totemico, come il bambino), altre lingue straniere, ideogrammi cinesi stimolati dall’incontro con un professore e dalla lettura di Pound. Straordinario è il ritratto che l’autore restituisce dell’amico Elio Testa, intingendo il pennello nelle pastose cromie offerte da una vita in cui storia, poesia e filosofia si mescolano tra loro generando seducenti sfumature. E facendo entrare il lettore, a cui Giartosio qua e là si rivolge direttamente, in quella dimensione che motivava il Mr. Gwyn di Alessandro Baricco, con i suoi ritratti di parole.
“Apparteniamo tutti al nostro tempo, l’importante è come sappiamo restituirlo”, afferma Giartosio. E Autobiogrammatica è appunto la restituzione del tempo in forma di un generoso e originale memoir che non può restare estraneo ai cultori della scrittura autobiografica. Io sono scrittura, suggerirebbe Octavio Paz per questo libro. E con lui, anche noi.

COME ASSOCIARSI

Diventa socio della Libera Università dell’Autobiografia
di Anghiari!

Una comunità di scrittori e scrittrici di sé e per gli altri.

Sostieni la LUA e scopri tutti i vantaggi di essere socio:

CONTATTI LUA
  • Piazza del Popolo, 5
    52031 Anghiari (AR)
  • (+39) 0575 788847
  • (+39) 0575 788847
  • segreteria@lua.it