RECENSORE: Patrizia Garofalo, .
Titolo: Epistolario .
(1933-1938)
Autori:
Antonia Pozzi, Tullio Gadenz
Curatore: D. Onorina
Editore: Viennepierre Edizioni (Milano)
Collana: I parabordi. Saggi
Anno edizione: 2008
Pagine: 160
ISBN: 978-8876010491
Argomenti: biografie, diari, lettere e giornali, narrativa, storia della letteratura e critica letteraria, biografie e autobiografie
di Patrizia Garofalo
{xtypo_rounded2}“È difficile spiegare la poesia infinita della montagna; forse il fondo ingenuo e primitivo dell’anima nostra, libero da ogni pensiero terreno, ritorna semplice, e ritrova l’istinto antico dell’uomo, la percezione chiara delle grandi bellezze… e nella intima comunione con la severa ed alta natura, ci si rivela quanta gioia ci sarebbe purissima nella nostra vita, se sapessimo ritrovare l’arte di appassionarci ancora delle cose proprio grandi e belle” (Guido Rey, 17 Agosto 1898).{/xtypo_rounded2}
“Scalatori” e “Al sole delle Dolomiti” sono due testi che mi hanno sempre accompagnato, rivelazioni di un mondo più vicino al cielo che alla terra, dove si sperimenta e si vive creativamente l’abbandono dei ritmi della vita e il perdersi nel flusso di un tempo straniero alle sovrastrutture e foriero di svelamenti improvvisi, di incantamenti e spaesamenti, di ricerca, di ipotesi sacrali, del silenzio che apre il varco alla parola non peritura. Quando e come dalla vertigine del buio, la parola conosca la sua epifania nella poesia non è dato saperlo, ma è proprio nella dimensione dell’“inesprimere l’esprimibile”, secondo Roland Barthes, e nell’atto di scoprire una “parola seconda” e altra che consiste l’agito poetico; contro l’obsoleto e l’usura penetra il foglio e lo scolpisce per sempre rimanendo memoria e suggestione meravigliante. È quanto accade nell’incontro tra Antonia Pozzi e Tullio Gadenz, un ‘amicizia’ fuori dal tempo e nel tempo, nelle cose e nella loro sublimazione che orchestra anche la morte ad una percezione d’eternità e trasmuta la gnosi in una pratica sacrale. Come nel “cantico dei cantici”, tradotto dall’ebraico nella trasposizione poetica di Agostino Venanzio Reali, si auspica un futuro nell’ampiezza celeste, vicino alle montagne così nell’epistolario dei due poeti si delinea l’ipotesi salvifica di un’esistenza defilata che penetri il senso dell’esistenza stessa.
Amato – “Tu che soggiorni dentro un paradiso
fammi la tua voce riudire
Amata – Tornami a sembrare, amato mio
un cervo, un capriolo sui profili
dei monti che fragrano, viola.”
Antonia Pozzi – “Radici/ profonde nel grembo di un monte/ conservano un sepolto segreto/ di origini – e quello per cui mi riapro/ stelo/ di pallide certezze”.
Tullio Gadenz – “Ma esser vorrei/ Di un grand’albero/ In una oscura/ Sera / la più Profonda/ Radice.”
Incontri di intensa tonalità, di totale reciprocità e incanto che preludono ad una intesa più ampia e totale e totalizzante che dall’aleph della terra abbraccia tutto il creato fino all’immagine sinestetica del profilo dei monti che “fragrano” viola. Forte il desiderio che in Tullio Gadenz vede, non a caso, la maiuscola in ogni a capo a connotare ogni incipit come nuova nascita, forte in Antonia Pozzi nella reiterazione della parola “grembo”, dal quale si ripartoriscono le stagioni in una verginità non concessa agli uomini, ma sperata nelle lettere dell’epistolario come intenso vissuto di una poesia che conosce e sa il dolore eppure suona la musica del “per sempre”. Perché la poesia, per definizione, ha carattere di eternità.