di Gianfranco Calligarich
“Non amo le cose antiche perché stanno zitte mentre quelle vecchie mi parlano”, dice San Martin, uno dei personaggi di “Passeggiate con i cani” di Gianfranco Calligarich (Bompiani, 2023). Una delle “sentenze” sparse qua e là nel testo, pillole di saggezza non presuntuosa tipica di chi ha scoperto qualche segreto della vita. Parole di uno scrittore italiano, che nel suo ultimo testo si traveste da “uomo considerevolmente anziano” – di fatto lo è, anche se Wikipedia gli condona parecchi anni – passando in rassegna, in pagine oscillanti tra autobiografia e autofiction, le tappe, le svolte inaspettate, gli incontri anche con grandi personaggi del cinema, della TV, della letteratura (come Roberto Rossellini e Natalia Ginsburg), gli amori e le morti della sua esistenza, partendo da una discussione tra sé e sé sui motivi per quali preferisce i cani ai gatti.
Il lettore ne ricava un senso di amichevole vicinanza per il vecchio protagonista di questo racconto lungo (come “Il vecchio e il mare”, tanto per intenderci, o certe opere di Conrad), che vi parla della sua esistenza e che, “invece di guardare come tutte le notti la bellissima strada romana che con le finestre dei palazzi in via di spegnimento finiva dove il fiume della città scorreva ineluttabile nella notte, pensava ai cani e ai gatti”. Un personaggio, quello di Calligarich, che tratta i suoi amici animali come le madeleines, per resuscitare ricordi che gli facciano compagnia, guidato da Ernest Hemingway: “Ci sono cose che non possiamo imparare in fretta, e per acquistarle dobbiamo pagare molto in termini di tempo, la sola cosa che abbiamo. Sono le cose più semplici ma poiché per conoscerle occorre l’intera vita è la sola eredità che si può lasciare”.
E’ una visione del mondo, non una frase nostalgica, come in fondo nostalgica è la preferenze data ai cani piuttosto che ai gatti. Un elogio alla vecchiaia da parte di un autore italiano ormai attempato, con un nome che non cela la sua origine triestina, il quale si gode in questi anni anche la riscoperta della sua opera prima, oltre gli acciacchi. Infatti L’ultima estate in città, edita nel 1973, ha incontrato, forse perché contornata da un’aura esistenzialista, una vera rinascita a livello internazionale, quando è stata riscoperta da Gallimard e lanciata nel mondo (tradotta in catalano, spagnolo, ebraico, olandese, tedesco, svedese, inglese, rumeno, ceco, greco, lituano, coreano, giapponese, ecc.). La quale gli è valsa, tra l’altro, nel 2021 il prestigioso “Prix Fitzgerald” in Francia e il premio “Marco Polo Venise”, per il miglior romanzo italiano tradotto in francese.
E’ tuttavia nell’ultimo suo scritto che Calligarich trova la lucidità per esplicitare, attraverso il suo alter ego, una visione di sé nel corso dell’esistenza, partendo dalla vicinanza della Chiesa dei Fiorentini, che lo spinge a “stabilire in cosa fosse consista la sua vita pur sapendolo benissimo. La navigazione sotto costa di un vascello con occasionali sbarchi sulla terraferma per rifornire la cambusa e poi riprendere il largo. Perché così la sua vita. In un certo senso sfuggente e marinaresca nonostante la sua lontananza dal mare e, una settantina di anni prima, ad approdare in quella fantastica città che era stata la Roma negli anni della sua giovinezza”.
Metafora, questa, che si lega ad un’altra convinzione: “che ognuno nasce due volte nella vita, quando esce da sua madre e quando incontra se stesso”, incontrando la città della sua esistenza. Che non può che essere Roma, per la quale il suo personaggio manifesta da sempre la sua incontenibile preferenza, per il cielo limpidissimo e i monumenti “che lo avevano spinto a chiedersi cosa mai di buono potesse avere fatto nella vita per ritrovarsi in una città come quella. Perché come estratta dalla notte dei secoli per accogliere il suo arrivo, fornirgli una seconda nascita, la città. E a fargli decidere che avrebbe accettato da lei qualunque cosa”.
Anche solo da questi passaggi del testo si evince una delle cifre stilistiche della prosa di Calligarich: il lasciare che le parole scorrano musicalmente, acquistando un loro ritmo segreto, per poi rivelare solo al termine del periodo il soggetto, che diviene come un faro che torna a illuminare le parole che lo precedono. Insieme ad un’altra firma stilistica: il riprendere in continuazione, nelle pagine che si susseguono, espressioni chiave, dal forte valore simbolico e metaforico, quasi a connotare la storia, le atmosfere, le sfaccettature che accompagnano il suo personaggio: il fiume che scorre ineluttabile, i palazzi con le luci delle finestre in via di spegnimento, la bellezza della via Giulia e della chiesa dei Fiorentini, la sua vita come un vascello che naviga sotto costa, le mani nelle tasche “del cappotto rese tremanti a forza di afferrare la vita”.
Scelte di poetica consapevoli, come chiarisce in un’intervista: “Molti romanzi oggi vengono scritti badando solo alla storia come se si trattasse di un film televisivo dove il linguaggio non conta. E invece in una storia vale solo la voce che la racconta: è quello che ti permette di arrivare al cuore di chi ti legge. Vale il suono della voce, non quello che la voce ti dice”. Una scelta non determinata solo dalla sua cosciente volontà, ma anche da quello che chiama “l’impassibile dio che veglia sugli scrittori alla ricerca del modo giusto per raccontare le storie che gli si sono accumulate dentro vivendo”.
Quasi al termine del suo racconto lungo, il protagonista “considerevolmente anziano” fa trapelare il motivo segreto, tra quelli elencati in precedenza nei suoi soliloqui notturni, della sua preferenza per i cani. Non solo perché ti accompagnano nelle passeggiate notturne o rimangono amici fedeli anche di padroni infami, ma in quanto, quasi leggendoti nel pensiero, si girano a guardarti e cominciano a fiutare come se sentissero i fantasmi che si riaffacciano nella mente del loro padrone: “Bastava percorrere di notte la strada con le finestre dei palazzi in via di spegnimento e raggiungere il fiume che scorreva ineluttabile nella notte per rivedere qualcuno dei suoi scomparsi amici del quartiere”. Fantasmi di amici e di amori, che con pazienza ti attendono ovunque possano essere andati.