RECENSORE: Carmine Lazzarini, .

Titolo: Splendi come vita.

Autore: Maria Grazia Calandrone

Editore: Ponte alle Grazie (Milano)

Anno edizione: 2021

Pagine: 224

ISBN: 978-8833315973

di Maria Grazia Calandrone

Fin dalla prima pagina una tensione inaspettata per il lettore, che si interroga su quante forme può assumere la scrittura come cura di sé. La foto di un ritaglio di giornale: “La madre la lasciò e poi si uccise. Ora non è più “abbandonata” (Paese sera, 10 luglio 1965, con la foto di una donna che regge in piedi una bambina). Subito a seguire righe dolenti quasi liriche: “Sono figlia di Lucia, bruna Mamma biologica, suicida nelle acque del Tevere, quando io avevo otto mesi e lei appariva da ventinove anni nel teatro umano. Sono figlia di Consolazione, bionda Madre elettiva, da me fragorosamente delusa.” (p.11). A cui si aggiunge una dichiarazione sulla vita come splendore, accompagnata da una enunciazione sul senso del suo scrivere: “le parole vanno via da noi, semi sparsi come costellazioni nell’aria trasparente del mattino. Le parole ricordano tutto, quello che non sappiamo di ricordare. Perciò affidiamo loro la memoria… E le parole vanno via da noi, dalla cera impassibile dei nostri volti, e attivano le leve submarine di altri esseri umani, uguali a noi. Che splendono, talvolta, come noi splendiamo. Senza saperlo” (p.13).
In Splendi come vita, Maria Grazia Calandrone tenta l’ardua impresa di affiancare due livelli del testo: quello della storia sottintesa e a tratti documentata – con tanto di fotografie, ritagli di giornale e di riviste degli anni ’60, che potrebbe iscriversi nelle vicende del “dramma famigliare” – e quello del racconto non-racconto, romanzo non romanzo, che si muove su livelli del tutto diversi diventando frammento lirico, prosa poetica, romanzo autobiografico, che però non diviene mai autobiografia compiuta. Più di duecento pagine sperimentali, continuamente frammentate in paragrafi, inserti di poesia, a capo improvvisi, tanto che l’editore è costretto ad inserire una nota: “Gli a capo inattesi che si trovano talvolta nel testo sono volontà dell’autrice”. Commenta Mario Barenghi: “Il libro si presenta – teste la quarta di copertina – come «romanzo autobiografico»: definizione plausibile in prima istanza, ma non del tutto persuasiva. L’autrice è in primis una poetessa: e anche qui prevale un assetto liricheggiante, sia per la dizione concentrata, sia per la forte segmentazione del testo, che a più riprese assume l’andamento di una raccolta di pensieri e impressioni, quasi schegge di un journal intime”.
La materia biografica è incandescente: bimba di otto mesi abbandonata da una madre adultera suicida nel Tevere, adottata da una famiglia potenzialmente “ideale” – la madre adottiva prof.ssa del liceo e il padre con un passato di compagno che ha fatto la Resistenza e partecipato alla Costituente – ma a quattro anni la svolta decisiva: “Sono caduta nel Disamore a quattro anni, quando Madre rivelò Io non sono la tua Mamma vera” (p.19). Una rivelazione che apre una ferita insanabile: non in lei, che cercherà di confermare in tutti i suoi comportamenti, nelle sue scelte, nei suoi sacrifici fino all’età adulta il suo amore infinito per Consolazione (Ione), ma nella Madre, che da quel momento tormenterà la figlia con l’accusa di non amarla. Da qui un succedersi di accuse della Madre e di atti d’amore della figlia, che porteranno entrambe a momenti di disperazione. Poi la morte del Padre amatissimo: “Tra qualche giorno è il mio undicesimo compleanno. La sera in cucina dico Ha smesso di soffrire. Poi siedo alla scrivania del Padre e mi raso i capelli con la lametta” (p.64). Così la ragazzina tenta di sostituirsi al Padre come sostegno della Madre.
Le continue accuse della Madre nei confronti di Maria Grazia, frutto di evidenti sofferenze psichiche ai limiti della follia – un giudizio questo del recensore, certo non dell’autrice, che non userebbe mai questi termini nei confronti di Madre/Mamma – causeranno una serie di fratture nell’esistenza di Maria Grazia, la quale invece in ogni momento è sempre tesa a illustrare lo splendore della vita di Ione, il loro “amore ineguagliabile”. Qualche piccolo esempio. Quale la prima poesia a memoria fatta imparare alla piccola a cinque anni e mezzo? Non si può sbagliare: “Pianto antico” di Giosuè Carducci: “la mia Mamma imprime in me, per sempre, la propria dichiarazione d’amore, intrisa nell’orrore della perdita. Traduco le spaventevoli, amorosissime parole che sento provenire dal suo corpo, e che Mamma non dice: ora che ti ho conosciuta, se te ne vai, la vita che hai terremotato non ha frutto. Quanti frutti può dare, il corpo di un bambino? Sull’isola dalla quale Mamma è atterrata, Amore e Morte sono parenti di sangue” (p, 79). E ancora: “Madre urla a gran voce che mi prostituisco. Dice che ho cominciato col fratello di Marrica, venuto in visita. “Tu, chi mi brucia sei tu”. Mamma, che fine hai fatto, dove sei andata?” (pp.127-128).
Non si possono non richiamare alcune caratteristiche peculiari del testo, per tentare di comprendere la scrittura di Maria Grazia Calandrone tesa a trasfigurare liricamente la materia incandescente della sua esistenza. Innanzitutto il tempo presente quasi ad esprimere gli eventi della vita nella loro permanente importanza e incisività esistenziale. Schegge di vita, ancora lì, nella mente nella loro simultaneità rispetto alla enunciazione. Alla quale si assegna per l’intero testo un tempo assai preciso: dal 5 al 25 giugno 2020. Ma non meno rilevante la trasformazione delle figure genitoriali in Madre, Mamma, Padre, con la lettera maiuscola, quasi a sganciarle dalla loro temporalità e trasfigurarle in simboli, immagini archetipiche. Tra l’altro la Madre ad un certo punto del testo si trasforma nel più affettuoso Mamma, per poi tornare Madre. Rarissimo “mia Mamma”.
Per Maria Grazia le parole scritte, di cui vive, sono un dono, ma alla fine non servono a nulla di fronte alla morte: “questo precipizio di parole / non è buono a rifare / neanche una molecola del tuo sorriso” (p.218). Agli amici tuttavia lascia una nota di ringraziamento: “per avermi orientata: prima, durante e dopo questo viaggio scritto / verso l’ignoto che è la nostra vita. / Senza di voi, sarei meno felice” (p.221).

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