Un’educazione alla bellezza
di Flavio Caroli
Si può parlare di “saggistica autobiografica” quando un contributo, pur specialistico, è contrassegnato, tra citazioni preziose e riflessioni più o meno erudite, da riferimenti alla storia personale dell’autore, ai passaggi della sua esistenza, agli incontri in qualche modo “fatali”, con personaggi del presente o del passato che hanno in qualche modo segnato le tappe della sua formazione, accompagnandolo in scelte che poi hanno fatto di lui quel particolare individuo – studioso, personaggio – diverso da tutti gli altri.
E’ quanto caratterizza questa “Storia sentimentale dell’arte. Un’educazione alla bellezza” di Flavio Caroli, noto critico dell’arte figurativa, che tra l’altro ha apportato importanti approfondimenti alla “linea introspettiva” dell’arte moderna. Una storia, la sua, segnata da molti riferimenti cronologici, da date che segnano “passaggi esistenziali”, a cominciare dal 1951, con la scoperta del rapporto tra una gazza nera che nella neve intatta risaltava nel giardino di casa, una figura sul calendario e una scatola di pastelli Giotto regalati in quel momento dalla zia: “Guardai fuori, la neve e la gazza. Guardai il calendario con “La gazza” di Monet. Sentii una strana cosa, fatta di dolcezza e disperazione… Adesso non sono sicuro, ma mi sembra di ricordare che sentii la mancanza di mio nonno, morto qualche tempo prima. Sentii gli occhi che si gonfiavano. Scoppiai a piangere… Da qualche minuto sapevo che lo splendore là fuori e lo splendore nel quadro su calendario erano dei miracoli. Ma si poteva tentare di non farli andare via. Adesso avevo gli strumenti: i pastelli… Lo splendore del pomeriggio non sarebbe volato via mai più” (pp.9-10).
Poi il 1956, la scoperta del “Castello di Médan” di Paul Cézanne, nel quale si intuisce il corpo a corpo del pittore con il visibile e con quanto pensiero è presente in quel visibile. Come diceva Leonardo: “La pittura è una cosa mentale”, a cui si è costretti sempre a dare ragione. Un ulteriore passaggio verso la sua “scoperta dell’arte” è del 1962, quando a Recanati non incontra solo Leopardi, ma Lorenzo Lotto, con la sua meravigliosa e sempre misteriosa “Annunciazione”, nella quale tutto sembra “strano”: l’interno di una stanza privata in penombra, un angelo un poco androgino, una ragazza con uno sguardo quasi indecifrabile, con le mani aperte come segno di umiltà rispetto all’annuncio che le è appena stato fatto, ma anche con un “lampo di orgoglio nei suoi occhi”. E nel punto di fuga, il centro visivo del quadro, un gatto con la schiena inarcata che scappa spaventato: “Era entrato un daimon: il daimon che io stavo percependo. Incomprensibilmente, mi stava trascinando nel gorgo di uno dei più grandi poeti dell’arte di tutti i tempi” (p.20).
Nei capitoli successivi narra i suoi incontri travolgenti con Pollok, con Rauschenberg alla Biennale di Venezia. Poi nel testo si incontrano le analisi e le emozioni derivate dalla visione delle opere dell’Arcimboldo, di Gaudenzio Ferrari, del Grechetto, di Girolamo Savoldo, Moretto e Romanino, di Caravaggio, di Jacopo Bassano, di David Hockney. Tuttavia il momento centrale della sua passione per l’arte, è narrata a mio parere da Flavio Caroli nei due capitoli “Rembrandt, Rubens e Vermeer” e “Sofonisba Anguissola”.
Scrive l’autore che nel 1971 fu colpito da un grave lutto familiare. Per tentare di arginare quella sofferenza, decise di compiere un giro per l’Europa durante il quale si trovò ad Amsterdam. “A quel punto della mia vita, le cose dell’arte le conoscevo piuttosto bene. Ma in questo racconto non si parla di semplice erudizione, si parla di amore; cioè di quella privilegiata conoscenza nelle cose che arriva dall’arte. All’Aia, quel sentimento lo toccai con mano, con una violenza lancinante che non avevo mai immaginato” (p.39). Caroli si trova davanti “Lezione di anatomia del dottor Tulp” di Rembrandt e il biancore del cadavere sezionato gli penetra dentro: “L’interminabile biancore di quella carne… C’era un’anima in quelle cellule, questo è certo. L’anima ha un’essenza totalmente diversa da quelle cellule. Può un’anima sopravvivere alla dispersione delle cellule che la generavano, e la custodivano? Sarei stato lì, a pormi domande, un’ora o una vita. Non potevano sussistere dubbi. Rembrandt era il grande inquisitore della morte. Quel giorno avevo capito che cos’è la morte” (p.41). Ecco dimostrato, in una pagina, il legame che può sussistere tra il pensare, il percepire, il sentire emotivamente, nella carne viva della propria autobiografia, e la potenza della rappresentazione artistica, che può sfociare in una visione del mondo.
Altro passaggio fondamentale è l’incontro con le sorelle Anguissola, Sofonisba e Lucia soprattutto, con la città e il territorio cremonese. Si tratta di un capitolo dove si scopre l’intreccio vitale, corporeo, tra lo studio dell’arte, l’avvicinamento alla bellezza e le vicende biografiche. Caroli intuisce la straordinaria personalità di questa pittrice, apprezzata giovanissima in un suo disegno da Michelangelo, ammirata dal Vasari nel pieno della sua vita e lodata da anziana da Van Dyck che la ritrae su una poltroncina, scrivendo: “Ho imparato più da questa vecchia novantenne e cieca che da tutti i pittori miei contemporanei”. Attraverso Sofonisba il critico viene stregato dalla campagna cremonese così generosa di suggestioni: “Confesso che il dipinto che mi ha fatto definitivamente innamorare di Sofonisba, “Partita a scacchi”, è il motivo fondamentale che mi ha indotto, molti anni fa, ad acquistare una casa in campagna nei feudi della famiglia Ponzoni, cioè della famiglia della madre della pittrice, Bianca Ponzoni. Quegli alberi, quella luce assonnata dei pomeriggi cremonesi… La casa dista tre chilometri dalla rocca in cui visse e morì Cecilia Gallerani, cioè la “Dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci che transitò da quelle parti verso il Natale 1499” (pp.57-58). Come ripagare questo territorio? In questi giorni veniamo a sapere dalla stampa locale, che Flavio Caroli ha donato alla Biblioteca di Cremona ventiquattromila volumi di arte e alcune centinaia di tesi di laurea raccolti in decine di anni di studio, che verranno resi consultabili in una apposita sala dedicata a lui.