Una ricerca biografica in cammino lungo le Terre Mutate
di Chiara Cerri
Percorrendo le pagine di questo libro, strada facendo, ci accorgiamo che questo cammino delle Terre Mutate è un cammino sia esteriore che interiore.
Un cammino di tre viandanti, Chiara, Daniele e Giuseppe, che, nel raccogliere storie di altri, tra le righe, ci raccontano in parte anche la loro di storia, in una viandanza che diventa quasi un pellegrinaggio.
“ Quando si parte in pellegrinaggio ci si lasciano alle spalle tutte le complicazioni legate al posto che si occupa nel mondo….Il pellegrinaggio è uno stato liminale, lo stato dell’individuo sospeso fra la propria identità passata e quella futura, e perciò al di fuori dell’ordine prestabilito in una condizione di potenzialità “(pag 95)” ( dal libro di Rebecca Solnit “Storia del camminare”)
Il biografo, il raccoglitore di storie racconta sempre, in qualche modo, se stesso, in particolare se è “passato” dalla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, dove si apprende ad ascoltare e scrivere storie, a partire sempre dalla propria.
Leggo dunque questo libro come una scatola cinese, una matrioska, dove la raccolta di storie di persone che hanno vissuto l’esperienza drammatica del terremoto nasconde e rivela insieme l’emozione e la postura della cura del narratore-autobiografo.
A pagina 86 Chiara scrive ad esempio:”Abbiamo da poco raggiunto Amatrice, città laziale composta da 69 frazioni, famosa per le sue prelibatezze enogastronomiche e per la sua storia. Amatrice non c’è più. Siamo seduti nel Giardino degli Alberi , ciascuno è in silenzio e ha scelto una panchina diversa per sostare, per piangere, per scrivere.”
Il senso del libro è già nel suo titolo. Infatti la parola “faglia”, al di là del comune uso, indica nella sua etimologia, un fallimento, una debolezza, una fragilità, un cedimento.
Una faglia anche interiore, dunque, poiché il terremoto ha toccato nel profondo la storia di ogni persona che ha deciso di raccontarsi.
Un libro questo pieno di dettagli, emozioni, ricordi, di immagini di dolce nostalgia del passato, una recherche di quel tempo perduto che non ci si rassegna appunto a perdere.
Il tempo dell’infanzia, di una vita dentro le piccole cose, dentro la natura.
La natura che nel libro emerge con la sua “ presenza”, con una vitalità sconosciuta in città, una natura che palpita e vive, partecipa e dialoga con i suoi abitanti, respirando insieme a loro.
“C’è un rapporto di sacralità che mi lega con questo territorio, come se i luoghi mi chiamassero e mi dicessero appunto di raccontarli agli altri, perché sono luoghi veramente unici…Forse la conformazione di queste valli e di questi posti che non sono stati mai famosissimi, ha permesso di avere un rapporto diretto con se stessi, con Dio, con la natura.”(pag.126)
Attraverso le narrazioni prende così forma il mistero degli Appennini, luoghi aspri e difficili da abitare, ma dove il legame con la natura veicola anche relazioni di comunità e di condivisione molto speciali.
“ Capisci che sei parte di un unico corpo. Noi rimaniamo, noi rimaniamo e le radici vanno in profondità impari a conoscere le gioie, le speranze i dolori le fatiche le ferite le croci delle famiglie e a portarle con loro e loro con te. E questo legame è costruito mattone su mattone.”( pag 139)
Alla fine, come chiede Chiara, nasce davvero il desiderio di conoscerlo meglio questo nostro misterioso Appennino, questa terra di silenzio ancora tanto sconosciuta e dal profilo appena accennato, a fronte di un’Italia conosciuta nel mondo per i suoi luoghi a volte anche esageratamente gridati.
Un obiettivo dichiarato dall’autrice ed a mio avviso pienamente raggiunto.
Il profondo senso di questo libro si evince in una affermazione che costituisce anche una sintesi epigrammatica del testo.
Il paesaggio siamo noi, noi stessi che lo abitiamo. Anche ‘egli’ palpita della nostra stessa vita.
Non c’è divisione, noi stessi apparteniamo profondamente alla natura, che troppo spesso viviamo come fondale, incapaci le nostre orecchie ed i nostri occhi frettolosi di ascoltare e osservare la sua ‘narrazione’.
Un testo, che peraltro fornisce un notevole contributo metodologico per chi volesse organizzare esperienze di scrittura in cammino, ma che riesce a coinvolgerci emotivamente, al punto da sentirci non più lettori ma anche noi viandanti di quelle terre, in un’immersione non soltanto simbolica, ma quasi fisica, capace di generare riflessioni e domande.
Un processo interiore in cui la parola ‘faglia’ in quanto vulnerabilità e fragilità, diventa parola che appartiene a ciascun vivente, dunque a ciascuno di noi.