4-6 giugno 2010 – Tutor Anna Cappelletti
Pietro Vigorelli si occupa di parole; egli ha individuato nella conversazione, utilizzata in modo consapevole, uno strumento per lavorare con gli anziani fragili e, in particolare, con i malati di Alzheimer.
Il seminario nasce dalla felice intuizione che questo metodo, basato sulla parola detta – all’interno della conversazione – può essere rafforzato, soprattutto sul piano autoriflessivo e formativo, nel momento in cui la parola viene scritta, come succede nel metodo autobiografico.
L’approccio di Vigorelli verso l’ Alzheimer è quello di considerarlo una malattia della parola; i disturbi cognitivi che investono la memoria, che provocano difficoltà di comunicazione e poi anche depressione e mutacismo, possono essere, a suo parere, trattati tutti attraverso un punto di vista privilegiato sulla parola.
Il gruppo che ha preso parte al seminario era composto dal condutture, dal tutor e da 14 persone che, con ruoli diversi (geriatra, psicologa, fisioterapista, logopedista, familiare, operatore socio sanitario o socio assistenziale) si occupano da anni di malati di Alzheimer.
Cosa abbiamo fatto
Abbiamo utilizzato diversi dispositivi: la scrittura, la conversazione, l’ascolto, esercizi di consapevolezza corporea, suddividendo il tempo a nostra disposizione – dal venerdì pomeriggio alla domenica mattina – in 4 moduli di mezza giornata ognuno.
Il format di ogni modulo ha previsto un’ introduzione del conduttore, subito seguita da uno spazio di scrittura personale, basato su una sua sollecitazione. In questo spazio ogni partecipante ha scritto in solitudine in un luogo appartato e osservando rigorosamente il silenzio. Anche se non erano state date precise indicazioni in questo senso, mi piace rilevare che queste condizioni (silenzio e solitudine) hanno di sicuro favorito quell’atteggiamento profondamente riflessivo che ha caratterizzato questo seminario.
Dopo la scrittura personale ci si ritrovava insieme e si utilizzavano alcuni degli scritti per lavorare in modo interattivo andando alla ricerca di ciò che era previsto in quel punto del percorso: 1. Le nostre identità molteplici 2. La storia percepibile nell’altro-malato, ma persona 3. Le parole che esprimono il disagio 4. Le parole che possono rendere le situazioni di disagio situazioni comunque di agio, attraverso la ricerca di un punto di incontro felice.
Ogni giornata si è conclusa con esercizi di rilassamento finalizzati alla consapevolezza corporea, poiché in ogni genere di relazione, e a maggior ragione in quella con persone fragili, ognuno di noi è in gioco nella sua interezza – quindi anche con il corpo.
Cosa è emerso nei quattro moduli
Venerdì pomeriggio: Io
Ognuna delle partecipanti ha scritto a partire dalla sollecitazione “mi presento”.
A partire da alcuni scritti che abbiamo letto e dalle conversazioni che ne sono scaturite sono emerse alcune consapevolezze:
Ragionando su quest’ultimo elemento comincia a farsi strada l’idea, che poi ci porteremo dietro durante tutto il seminario, che spesso utilizziamo delle pratiche inutili o dannose pensando di fare il bene del malato.
Sabato mattina: Lui/Lei
In questo II spazio la sollecitazione alla scrittura personale è stata quella di presentare una persona con demenza con cui le partecipanti avessero realmente a che fare.
Nello spazio di analisi e conversazione sulle scritture personali sono emerse alcune consapevolezze, alcune delle quali introdotte o rafforzate da Vigorelli:
Sabato pomeriggio: Parole malate
In questa fase le scritture personali si sono concentrate sulla conversazione. Ogni partecipante ha riportato dettagliatamente una conversazione reale avvenuta di recente con un malato di Alzheimer.
Ci si è poi ritrovati insieme ancora una volta a leggere e discutere alcune di queste conversazioni, cercando di individuare i segnali di quello che, nello spazio della mattina avevamo chiamato:” io deficitario e io funzionale”.
Siamo usciti da questo terzo modulo con la consapevolezza che:
Domenica mattina: Le parole medicate
Nell’ultimo modulo abbiamo continuato a lavorare in modo interattivo sugli esempi di conversazione andando a individuare i passaggi più critici, quelli in cui le nostre parole non hanno prodotto un momento di interazione felice.
Molto importante il contributo degli operatori presenti che hanno riportato situazioni estremamente vere e pertanto anche drammatiche, nel senso che le situazioni descritte sembravano in un primo momento proprio senza via d’uscita.
In questa fase è stato davvero interessante verificare come:
Abbiamo infatti sperimentato, attraverso il lavoro riflessivo e interattivo e applicando alcuni dispositivi già introdotti precedentemente ( per esempio: non interrompere, non fare domande, rilanciare piccoli frammenti autobiografici, rispondere in eco …) che la stessa conversazione può prendere una piega molto diversa e che si può sempre trovare un modo per dialogare anche con la persona più fragile e deprivata, con quella più arrabbiata o più aggressiva.
E poiché fragilità, aggressività e incapacità di dialogare non sono riscontrabili solo nel mondo dei malati di Alzheimer, questo tipo di approccio può sicuramente rappresentare un contributo utile non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che intendono riflettere sull’importanza di una conversazione davvero generativa di momenti di incontro felici tra le persone.
Conclusione: come ci siamo lasciati
Mi sembra di poter dire, in base all’esperienza fatta personalmente nei tre giorni del seminario, nonché per le testimonianze rese dalle partecipanti alla fine della mattina della domenica, che ognuno dei presenti è andato via un po’ diverso da come era arrivato.
Abbiamo sperimentato che si può divenire più consapevoli delle nostre parole e del nostro corpo per usarli come strumenti che possono “medicare” situazioni in cui la sofferenza sembra a volte senza possibilità di consolazione.
Pur sapendo che non possiamo, neppure con le migliori tecniche, riuscire a fermare questa malattia, che è inesorabile, ci siamo resi conto che possiamo, però, – e non sembra una cosa da poco – riuscire a rendere la vita del malato di Alzheimer più felice, possiamo divenire consapevoli che quelle che appaiono come ostinazioni o aggressività del malato, sono molto spesso la prova della resistenza di alcune funzionalità che il malato continua a mantenere.
Affinare le nostre competenze, quindi, può voler dire rendere un anziano fragile più felice più a lungo, più compreso, più persona, con la sua dignità.
Sperimentare che, anche nella situazione più deprivata dal punto di vista conversazionale, il dialogo è sempre possibile, apre molte riflessioni sulle grandi potenzialità della parola – parlata, scritta, ascoltata, rilanciata – e sulla possibilità per ognuno di noi di essere artefice di dialogo e di felicità. Per questo motivo diverse delle partecipanti si ritroveranno di nuovo nel seminario di ottobre per approfondire questi temi e affinare questi strumenti.
Arrivederci, allora!
Si segnalano alcuni testi, video e link per approfondire i temi di cui si è parlato al Seminario.
Video: Sono buono, quindi ti danneggio: http://www.studiofilmtv.it/film.asp?id=2&l=it
Link del sito a cura di Pietro Vigorelli: www.formalzheimer.it – www.gruppoanchise.it