(livello avanzato)
a cura di P. Vigorelli 15-17 ottobre
Tutor Anna Cappelletti
Questo secondo seminario sulle tecniche conversazionali utilizzabili con le persone malate di Alzheimer e gli anziani fragili, si proponeva di offrire un’occasione di approfondimento del percorso che Pietro Vigorelli aveva già proposto ad Anghiari nel mese di giugno ( cfr. report ).
L’idea era quella di creare uno spazio che riuscisse a essere un’occasione di ulteriore crescita per le persone che avevano partecipato a precedenti seminari sull’argomento e, nello stesso tempo, un appuntamento pienamente utilizzabile da coloro che approcciavano questi temi per la prima volta.
Pertanto, anche se le giornate hanno mantenuto l’impianto che avevano avuto a giugno, l’incontro ha avuto uno svolgimento del tutto originale, perché, se ogni formazione efficace è sempre situata e non può prescindere dal contesto in cui si colloca, questo è tanto più vero quando si usa un metodo autenticamente interattivo, come quello di Vigorelli. Così la fisionomia del gruppo ha molto inciso sull’andamento del seminario. L’insieme dei partecipanti era infatti assai diverso da quello precedente: poco numeroso, composto in egual misura da operatori e da famigliari, da persone che avevano già partecipato ad altri incontri simili e da neofiti, inoltre non completamente al femminile come l’altro.
Per quanto riguarda i contenuti e il metodo, la proposta è stata in tutto simile quella di giugno, e quindi rimando al report di quelle giornate (cfr. report 4-6 giugno 2010 ), mentre, per dare un’idea del clima e delle riflessioni che questo tipo di seminario è in grado di generare, userò questa volta le parole stesse dei partecipanti, che sono stati i veri protagonisti del percorso.
Tra i passaggi più significativi, appare la scoperta che il malato ha molteplici identità, non solo quella di malato, e che è possibile, se si diviene capaci di individuarle, riuscire a relazionarsi con le identità che mantengono una funzionalità
Presentare – tramite la scrittura – prima se stessi e, successivamente, l’anziano fragile , aiuta i partecipanti a comprendere che ognuno di noi persona ha tante identità ( si può essere padre, fratello, moglie, madre, si possono avere identità legate al ruolo lavorativo, legate alle proprie passioni, al presente, al passato, ai propri sentimenti, alla sua affettività; il malato può averne perse molte, ma alcune di queste identità rimangono, devono essere individuate e così si può relazionarsi con quelle, evitando di insistere a cercare la relazione con quelle che la malattia ha cancellato – o nascosto.
A partire dalle esperienze narrate, il conduttore dimostra ai partecipanti che, per dare spazio alla parola del malato, talvolta è necessario stare in silenzio, non intervenire
Spesso chi si occupa di cura o di educazione, è ossessionato dal bisogno di agire, di sollecitare; tramite il racconto delle esperienze, abbiamo verificato, che invece, è necessario non pressare il malato di Alzheimer, che spesso ha bisogno proprio di sentire che ha tempo a disposizione (per ricercare le parole che non ricorda, per sperimentare che gli altri intorno a lui non “pretendono” tempi e modalità a cui lui non si può adeguare…)
Queste tre giornate sono state molto caratterizzate da:
1 – l’accento posto sulla necessità di cambiare punto di vista, di centrare l’attenzione sul proprio atteggiamento nei confronti dell’anziano fragile
2 – Il grande spazio dato alle esperienze: Poiché il gruppo era piccolo, tutti hanno avuto l’opportunità di raccontare: ognuno ha potuto essere protagonista e veder riconosciuta la propria storia come degna di attenzione. Oltre a poter utilizzare le competenze molto consistenti di Vigorelli, i partecipanti sono divenuti risorsa gli uni per gli altri,
3 – La presenza e le storie dei famigliari: coloro che sono legati affettivamente alle persone malate di Alzheimer hanno un punto di vista che sa molto apprezzare il fine ultimo del metodo proposto dai Vigorelli: la ricercare un modo diverso di relazionarsi con il malato, di un quotidiano “punto di incontro felice”
Capire il punto di vista del famigliare è stato utile anche a chi si occupa di cura per mettersi nei panni dell’altro
Aver fatto l’ esperienza della scrittura ha permesso ai partecipanti di verificare che è possibile sottrarre all’oblio della quotidianità i momenti che rappresentano le piccole-grandi vittorie sulla malattia e ri-assegnare significato anche ad una relazione spesso caratterizzata dalla mancanza di parola e di memoria
Tutti hanno trovato l’appuntamento consistente e impegnativo e tuttavia piacevole.
Le persone vanno via da questo seminario con qualcosa di più che alcuni buoni propositi, hanno più strumenti, competenze precise, oltre che uno sguardo diverso e portano con sé una sensazione di accoglienza umanità e, insieme, di concretezza, che sono le caratteristiche fondamentali della proposta di Vigorelli.
Anche io vorrei dire grazie, per aver sperimentato con questi due seminari che, anche dentro le situazioni più dolorose, o che appaiono senza via d’uscita, se attingiamo alle nostre risorse più specificamente umane – parola, pensiero, scrittura, riflessione, affettività – possiamo accogliere e ri-significare persino alcune tranche della nostra vita apparentemente prive di senso.
Anna Cappelletti