di Fabio Volo
L’ultimo libro di Fabio Volo è un’autobiografia nella quale egli racconta in maniera minuziosa gli avvenimenti salienti di una parte della sua vita: all’incirca dalla fine degli anni Ottanta ai primissimi anni Duemila. L’autore sceglie di non indicare i riferimenti temporali precisi, ma fornisce tanti particolari che descrivono innovazioni e cambiamenti avvenuti nella società italiana (la presenza delle discoteche come luoghi di aggregazione anche in provincia o il progressivo sviluppo delle radio private). Non è difficile, dunque, per il lettore collocare gli avvenimenti nel tempo.
Il libro racconta delle amicizie dell’adolescenza, del rapporto difficile con la scuola, del primo innamoramento forte, quello che ti lascia senza respiro e che ti fa “galleggiare in una sensazione di beatitudine e eccitazione” (pag.84). Leggiamo di una famiglia affettuosa e dei vari “mentori” che l’io narrante ha incontrato nel corso degli anni, che hanno contribuito alla sua crescita. Leggiamo anche del desiderio sempre più vivo di uscire dal guscio e delle letture dei grandi romanzi che catturano la mente e l’immaginazione e indicano tante possibili strade. Leggiamo della difficile ricerca di un lavoro, del raggiungimento di alcuni obiettivi non “sognati”, ma incontrati e poi perseguiti con fortissima caparbietà. Tanti lettori e tante lettrici possono (possiamo…) ritrovarsi nelle incertezze di Fabio, nelle paure, nei tentativi (a volte riusciti, a volte no) di trovare un proprio posto nel mondo, negli entusiasmi e nelle piccole vittorie della sua storia di vita. Per questi tanti motivi il libro appassiona e cattura lettori e lettrici di tutte le età, nei suoi quaranta capitoli che scorrono veloci nella lettura.
Come ha scritto Duccio Demetrio in un libro fondativo (Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, 1998), qualunque autore autobiografo (che sia conosciutissimo e tradotto in tante lingue come Fabio Volo o scrittore per diletto alle prime armi) diventa “un tessitore”, perché attraverso l’autobiografia ripercorre le vicende della sua esistenza, cerca le motivazioni di alcune scelte, collega i fatti, li ricostruisce in una vera e propria direzione di ricerca.
Non è un caso, infatti, che in tutta l’autobiografia di Fabio Volo questo atteggiamento di ricerca compaia diverse volte, come tratto costante che definisce la sua personalità incline a riflettere, conoscere, ricercare. Negli anni dell’adolescenza Fabio si appassiona gradualmente alla lettura e vede i libri come “strumenti di conquista” che lo possono aiutare a “capire qual è la sua priorità nel mondo” (pag. 74) e gli consentono di “guardare oltre” (75). Dopo alcuni anni (quando non lavora più in panetteria col padre e cerca un lavoro rispondente ai suoi bisogni interiori) passa le giornate “a cercare una traccia” (pag. 113), impara a superare le paure e ad allargare il suo mondo (163). Nelle ultime pagine del libro, giunge alla conclusione che la sua vita “è sempre stata una ricerca più che un obiettivo”.
La lettura di Balleremo la musica che suonano ci fa incontrare un ragazzino simpatico come tanti altri: vive in una città di provincia del Nord Italia, odia la scuola consapevolmente, gioca per strada con gli amici (figli di immigrati dal Sud) e si sente a suo agio a casa sua, in una famiglia “povera” dove ciascuno ha un ruolo e non ci sono conflitti generazionali. Fabio ammira in modo incondizionato suo padre (panettiere da tre generazioni); ama “l’ironia, il sorriso e i capelli ricci” della nonna (pag.16); nutre un affetto profondo per sua madre, la figura adulta che più lo responsabilizza, avendo fiducia in lui e nella sua capacità di discernere il bene dal male. Seguiamo le vicende di questo ragazzo negli anni successivi all’adolescenza e lo lasciamo, nelle ultime pagine, quando è un giovane adulto che ha già compiuto tante scelte importanti di vita, di affetti, di lavoro.
Balleremo la musica che suona è un’autobiografia ed è anche un romanzo di formazione per i vari passaggi di vita che Fabio Volo racconta con ironia, mettendosi a nudo, con le sue incertezze, le paure, gli errori e le conquiste. Ricompone le varie parti di quei vent’anni della sua vita e le fa diventare materiale di apprendimento, di riflessione interiore e di formazione.
Come quando si getta un sasso in un piccolo stagno e si osservano dall’alto i cerchi nell’acqua che si aprono l’uno nell’altro, così questa autobiografia/romanzo di formazione si muove a cerchi concentrici. Al centro c’è Fabio, la sua famiglia, la scuola, odiata al punto da lasciarla dopo la terza media. Il cerchio successivo si allarga alla città: il gruppo dei coetanei, le ragazze, i bar, le discoteche, le abitudini della provincia di parlare e commentare le vite di tutti. Un altro cerchio si allarga ancora e s’incontrano città nuove che aggiungono opportunità, sconfitte e sogni: Milano, Verona, Modena, Riccione. In un cerchio ancora più grande entrano località più distanti, la Grecia, Londra, New York, che dopo un po’ diventano familiari come la città di provincia da cui il protagonista era partito.
La scuola non esce bene da questa autobiografia. Una fortuna di Fabio Volo è stata di incontrare sulla sua strada alcune importanti figure di “mentori”, che hanno bilanciato la formazione interrotta in terza media. Il mentore ha un bagaglio di esperienze e conoscenze superiore a quello di un possibile allievo e per questo può essere guida o consigliere e supportare la sua crescita. Nel caso di Fabio, un mentore è stato Stefano Agosti, “scrittore, poeta, saggista, sceneggiatore” (pag.53) che, andando in panetteria a comprare il pane, si era incuriosito nel vedere quel ragazzino che impastava la farina col padre tutte le notti, avendo lasciato la scuola. Agosti gli regala un libro e dopo qualche giorno gliene porta un altro. Inizia così per Fabio la passione per la lettura, seguita da quella per il cinema, anch’essa avviata da Agosti, che gli lascia davanti alla panetteria due scatole piene di cassette VHS di film importanti.
Un altro mentore è stato Claudio Cecchetto, ideatore storico di Radio Capital che ha “creato” tanti personaggi poi divenuti famosi del mondo dello spettacolo (Fiorello, Jerry Scotti, Jovanotti, Amadeus, lo stesso Volo). Cecchetto conosceva bene i suoi collaboratori, li sceglieva uno per uno e, proprio come un mentore, valorizzava i talenti che ciascuno già possedeva. Il suo metodo era talvolta blando (“per una settimana devi fare la pianta grassa, cioè non fare nulla, soltanto respirare questo ambiente, essere te stesso”, pag. 134); altre volte era burbero al punto da mettere addosso una pressione enorme (144). Dopo qualche mese di lavoro a Radio Capital, Fabio vide la solidità di ciò che aveva costruito grazie a Cecchetto.
Infine, dobbiamo fare un cenno a un tratto originale che caratterizza questa autobiografia dei giorni nostri: il frequente e costante riferimento ai libri letti dall’io narrante, con citazioni riportate nel testo (brevi, ma anche molto lunghe), che testimoniano in concreto quanto la letteratura e la voce dei grandi autori possano entrare nell’animo e nella vita di una persona. Fabio Volo condivide con i lettori solo alcune delle sue innumerevoli letture (delle quali, fra l’altro, in ultima pagina crea un elenco destinato allo scaffale per i suoi figli): incontriamo Richard Bach, Herman Hesse, D.J. Salinger, Conrad, Roman Gary, Camus e molti altri. Dentro l’autobiografia di Fabio, le citazioni dai grandi Maestri della letteratura mondiale non sono mai uno sfoggio da parte sua, sono un modo autentico di dare valore al pensiero, alla riflessività e alla scrittura di chi prima di lui ha affrontato la vita, ma non solo: l’ha immaginata, l’ha presa di petto con coraggio e ha saputo raccontarla con le parole giuste. Un altro insegnamento da questa autobiografia, soprattutto per i lettori giovani.