RECENSORE: Giorgio Macario, .

Titolo: La Scuola più bella che c'è.

Autori: Francesco Niccolini, Luigi D'Elia, Sandra

Editore: Mondadori (Milano)

Anno edizione: 2023

Pagine: 159

ISBN: 978-88-04-76605-6

Don Milani, Barbiana e i suoi ragazzi

di Francesco Niccolini con Luigi d’Elia e Sandra Gesualdi

La lettura di questo interessante testo dedicato, nel centenario della sua nascita, alla vita e all’opera “del prete più spigoloso e rivoluzionario della nostra epoca”, Don Lorenzo Milani,  mi ha subito richiamato alla mente un articolo da me scritto sei anni fa per la rivista Pedagogika.it dal titolo “Dall’abbandono della scrittura alla semplificazione del pensiero”; dove, utilizzando riferimenti a 1984 di George Orwell e Lettera a una professoressa  della Scuola di Barbiana, affermavo: ¨E’ il recupero (…) di una lezione classica come quella offerta dalla scuola di Barbiana, in merito alle regole dello scrivere, che può far giustizia dell’attuale scadimento del dibattito culturale ed educativo” citando poi direttamente dal testo dell’Editrice Fiorentina: “A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: aver qualcosa di importante da dire e che sia utile  a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo.” Seguendo una simile metodologia e richiamando alcune regole, cercherò quindi di offrire qualche spunto su questa “storia di scontri, amarezze, sconfitte, ma anche di un grande amore per la vita, per i più deboli, per i bambini. Un amore per un mondo più giusto.”
Il libro nasce dallo spettacolo teatrale Cammelli a Barbiana con gli stessi Niccolini e D’Elia come autori, accompagnato nell’allestimento da Sandra Gesualdi che diventerà coautrice; il testo procede con modalità associative più che strettamente cronologiche, “a nostro sentimento” come precisano gli autori nell’introduzione, con piccoli dialoghi che sono sì immaginati ma sempre basati su episodi autentici. La bella vita del‘signorino Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, proveniente da una famiglia di “ricchi molto ricchi” e coltissimi, fa da sfondo alla descrizione di un’infanzia e un’adolescenza certamente privilegiata ma già irrequieta e parzialmente problematica sia sul versante scolastico, con la decisione di voler fare il pittore piuttosto che frequentare l’università, sia per la salute un po’ cagionevole che lo vede anche riformato evitandogli la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale. Pur provenendo da un ambiente familiare tendenzialmente laico, con la madre di origini ebraiche ma non praticante, Lorenzo si converte nel 1943, entra in seminario, e dopo avervi trascorso “tre anni e mezzo di litigate e punizioni”, nel 1947 viene consacrato prete e viene inviato a Calenzano, vicino a Prato, per fare il cappellano, aiutante del parroco. Qui si convince sempre più che la distanza fra la Chiesa e i poveri è una responsabilità della Chiesa, che va rifondata e si concentra fin da subito sulla centralità della scuola, per tutti. E su questo investe le sue energie riuscendo a riunire, in questi primi anni del dopoguerra, cattolici e comunisti seduti insieme per ascoltare un prete che li esorta a “conoscere e imparare, per non subire più violenze da parte dei ricchi e dei privilegiati”.
Dalle invidie e dai sospetti che circondano questo prete scomodo nasce il trasferimento a Barbiana, nominato priore di una chiesetta in abbandono, “Senza luce elettrica. Senza riscaldamento. Niente acqua potabile, né strada. Intorno boschi, buio, silenzio e lupi.” E’ qui che, nella canonica sommariamente ristrutturata, nasce l’embrione della “scuola più bella che c’è”, per sopperire ad una situazione pessima e favorire un qualche tipo di apprendimento, con “genitori semianalfabeti, bambini e bambine impegnati a lavorare nei campi e nelle stalle, e che al massimo frequentano la pluriclasse elementare, per poi abbandonare.” Ed è con sei bambini, all’inizio tutti maschi con le bambine che seguiranno una volta convinti i genitori, che nasce la scuola di Barbiana, senza voti, pagelle, banchi, cattedra e lavagna, ma con moltissime parole da conquistare, senza sosta, “dalle 8 di mattina alle 7 di sera”. La manifestazione a Vicchio per far costruire un piccolo ponte per consentire a Luciano di non affogare nel fiume nel recarsi a scuola; la lettura della posta, che ogni anno aumenta sempre più,  tutti insieme per decidere come rispondere; la lettura dei giornali di diverso orientamento politico per confrontare le notizie; l’invito ad esperti e le visite di professori, giornalisti e uomini politici sempre più frequenti; la costruzione di due astrolabi orgogliosamente realizzati nelle “Officine meccaniche dell’Osservatorio astrofisico di Barbiana” con l’aiuto di un professore di uno dei licei più conosciuti della Toscana; la gita alla Scala di Milano con sei dei suoi ragazzi, su invito del giornalista che lo ha intervistato per l’uscita del suo primo libro Esperienze pastorali, per poter vedere ‘La Boheme’, di cui hanno prima appreso ogni parola;  questi e molti altri ancora gli episodi che illustrano in chiave narrativa ed esperienziale quali fossero le basi del metodo seguito da Don Milani.
Con il passare degli anni la salute di Don Milani peggiora, finchè gli viene diagnosticato un tumore al sistema linfatico, che lo affatica sempre più, ma non gli impedisce di proseguire il suo percorso. Siamo nei primi anni ’60 ed anche se ormai la scuola di Barbiana è famosa, l’ostilità della curia nei suoi confronti non cessa: alle limitazioni impostegli dalla Diocesi di Firenze nel partecipare ad un convegno sull’educazione promosso dal sindaco comunista di Calenzano, Don Milani risponde con uno sciopero dalle sue funzioni di parroco durato due mesi. Ma la sua salute è sempre più compromessa, anche se, senza desistere dal suo percorso, incontra Mario Lodi che come maestro a Piadena porta avanti la sua rivoluzione per una scuola non nozionistica; scrive una lettera ai cappellani militari della Toscana per censurare la condanna da loro espressa all’obiezione di coscienza, e, prima di morire, matura in lui l’idea di scrivere collettivamente –  firmato dalla Scuola di Barbiana -quello che diventerà il suo testamento spirituale e pedagogico: Lettera a una professoressa, solo in apparenza “destinato ai professori, ma in realtà è per le mamme e i babbi, soprattutto quelli dei moltissimi ragazzi bocciati.”
Costretto a trasferirsi a Firenze a casa della madre per l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche, Don Milani, circondato dai suoi ragazzi rientrati appositamente anche dall’estero, muore il 26 giugno del 1967 a soli 44 anni. Al suo funerale, facendo un’eccezione alle consuetudini, non solo non partecipò l’arcivescovo di Firenze ma neanche altre autorità religiose o civili. C’erano però tutte le persone che gli erano state accanto e Michele, Francuccio, Carlo, Nevio, Olga, Edoardo, Giancarlo, Gosto, Carla, Graziella, Mauro, Fiorella, Silvano, Enrico, Mileno, Guido, Liciano, Piero…”e tante altre vite segnate dalla scuola di Barbiana”.
Come spesso accade, nemo propheta  in patria (sua).
Un prete fuori dagli schemi non poteva che essere più che riabilitato da un Papa certamente non convenzionale, l’unico capace di togliere “ogni divieto per la pubblicazione e la lettura di Esperienze pastorali.” Scrive Papa Francesco su ‘La Repubblica’ del 24 aprile 2017: “Nei primi anni si impara a 360°, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare- è questo il segreto, imparare a imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà. Questo lo insegnava anche un grande educatore che era un prete: Don Lorenzo Milani.”
Un riconoscimento da parte della Chiesa certo tardivo, ma che unito alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella alle celebrazioni per il centenario della nascita di Don Milani nel maggio scorso, dimostrano la forza e l’attualità di un messaggio di vita destinato a durare e crescere nel tempo.

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