RECENSORE: Carmine Lazzarini, .

Titolo: L’era del singolo.

Autore: Francesca Rigotti

Editore: Einaudi (Torino)

Anno edizione: 2021

Pagine: 144

ISBN: 9788806247898

di Francesca Rigotti

Col suo saggio, breve ma assai ricco di spunti e di suggestioni, Francesca Rigotti si propone di focalizzare, descrivere e anche sottoporre a critica una tendenza caratterizzante la nostra epoca, da lei chiamata: “l’era del singolo”. Un passaggio storico che pretende di superare le convinzioni e i concetti più diffusi, nel campo del sapere, della politica, del vivere sociale, della cosiddetta “Età dell’individuo”. Tale analisi è condotta dalla studiosa in maniera sintetica ma sistematica, come si evince dai vari capitoli del testo, che toccano i temi del passaggio dall’organicismo al singolarismo analizzando il superamento dell’individualismo, la singolarità filosofica, tecnologica, sociologica, descrivendo le ricadute dell’ideologia del singolo sui nomi, il corpo, morte, sui concetti di bontà, felicità, merito: “singolarismo è la percezione di essere qualcun altro rispetto ai propri simili. È un desiderio di individualità che ricerca una forma sui generis di giustezza personale nel senso di realizzazione al singolare di sé la più armoniosa possibile, in modo da arrivare a un ideale personalizzato, a una unicità esemplare, una singolarità luminosa, facendo della propria vita un’opera d’arte, creando la propria singolarità in un crescente disinteresse per l’eguaglianza e in una crescente e pericolosa indifferenza pubblica per l’ineguaglianza” (p.22).

Un passaggio fondamentale nell’argomentazione di Francesca Rigotti riguarda l’illustrazione delle differenze tra individualismo e singolarismo, tra individuo e singolo. L’individuo, soprattutto come è individuato dall’illuminismo e in particolare da Kant, ha una sua conformazione ontologica, una dimensione etica fondamentale. L’individuo è tale in quanto si propone dei fini, degli obiettivi che ne chiariscono l’identità e delineano con grande chiarezza i suoi rapporti con gli altri, col contesto sociale e politico, da cui emerge un possibile senso di un’esistenza. Scrive citando un articolo sul “New York Times” di Adriana Cavarero, in sintonia con Hannah Arendt: “si può fare esperienza di felicità pubblica ovunque la gente partecipi all’apertura di uno spazio politico di libertà che promuova eguaglianza e democrazia” (p.23). Il singolo al contrario non ha una conformazione unitaria, è un io come fascio di emozioni, desiderio, obiettivi in perenne mutamento, liquido, instabile. Come tale si caratterizza per la sua propensione a volersi distinguere ad ogni costo, a inseguire obiettivi totalmente singoli, suoi, che non possono riguardare il contesto in cui vive, tagliando ogni relazione, considerata limitante. Il vero obiettivo della vita del singolo è conquistare una propria originalità, essere differenti da tutti, vivendo una felicità personalizzata: “la felicità pubblica, la felicità collettiva che già Socrate individuava nell’esperienza politica condivisa, è assente dal panorama attuale, caratterizzato dal ritirarsi nella cittadella interiore per prendersi cura di se stessi. È comprensibile che si cerchi la felicità; rendiamoci però conto che la sua ricerca esasperata e l’industria che le si è creata attorno sono asservite ai principi neoliberisti e singolaristi in cui la felicità del singolo sostituisce il bene collettivo.” (pp.24-25).

Nell’era singolo, secondo Francesca Rigotti, si finisce per giungere alla disumana convinzione che ognuno può dominare a piacimento le proprie passioni ed emozioni, i propri comportamenti e sentimenti, e che la felicità si può raggiungere da parte di ognuno se ne è capace e se lo merita, prescindendo dagli altri. Lo stesso discorso sulla resilienza è stato stravolto, giungendo alla convinzione che la sofferenza stessa è qualcosa di superabile, basta che tu ne sia capace: “La sofferenza protratta è una scelta, afferma l’ideologia singolarista della felicità a tutti i costi, e se le persone stressate, depresse, emarginate, sole, disoccupate, nostalgiche e così via non hanno una vita più felice e appagante è perché non ci provano abbastanza, non fanno della positività un’abitudine o non sanno sfruttare al meglio le opportunità. E invece, anche se riformulare gli ostacoli in chiave ottimistica può essere una risorsa, è disumano, cioè proprio il contrario al senso di umanità, è miope e ingiusto attribuire all’individuo la responsabilità delle sue sventure e immobilità, e condannarlo per non riuscire a trasformare magicamente le avversità in opportunità” (pp. 26-27).

Per concludere, riprendendo un intervento sulla necessità del “riconoscimento” tra individui, Mauro Ceruti e Francesco Bellusci avanzano la proposta di fondare la società attuale – quella del singolarismo – incontrandoci tra essere limitati, fragili, bisognosi di assistenza, ammettendo e non negando la propria vulnerabilità, come dimensione intrinseca alla relazione sociale (cfr. “Libertà, vulnerabilità, fraternità: la danza generativa del riconoscimento”, Paradoxa, 3, 2023).
Aggiungendo una nota un poco ironica del recensore, nell’era del singolo si finisce per essere disegnati dal mercato, che personalizza i desideri di ciascuno facendolo diventare una specie di fotocopia di immagini altre. Come diceva al marito un personaggio femminile di Giuseppe Pontiggia nel suo “Vita di uomini non illustri”: “Ma sii un po’ originale, come tutti gli altri!”.

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